Girando per la Sicilia non è difficile imbattersi in meravigliose sculture in ceramica, divenute ormai uno dei simboli della Sicilia: le Teste di Moro. Queste ultime, che solitamente riprendono i colori tipici delle opere caltaginesi (blu, giallo, verde, rosso) guarniscono, per lo più, balconate, e sono anche conosciute con il nome di “Graste” (dal dialetto siculo).
In realtà, non tutti sanno che la loro nascita è legata ad una leggenda di amore, gelosia e vendetta ambientata a Palermo intorno all’anno 1000, periodo in cui gli Arabi abitavano l’isola. Si narra, infatti, che in un quartiere arabo della città, la Kalsa (“Al Hàlisah” che in arabo significa la pura o l’eletta), vivesse una giovane che, abitudinariamente, curava le bellissime piante fiorite del suo balcone. Un giorno, però, un uomo, il Moro per l’appunto, notandola e rimanendo sopraffatto da lei, iniziò a corteggiarla fino al punto di conquistarla, celandole, tuttavia, il segreto di avere già una moglie e un figlio in Oriente dove, a breve, sarebbe ritornato.
Nel momento in cui la giovane apprese la notizia, fu oppressa da un fortissimo sentimento di vendetta che la spinse, durante la notte, a raggiungere l’amante dormiente per tagliargli la testa. Decise che, con quest’ultima, avrebbe prodotto un vaso dentro al quale avrebbe piantato un germoglio di basilico, riposto tra le piante del suo balcone, che avrebbe curato come se l’uomo fosse ancora in vita, accanto a lei. Giorno dopo giorno, anche grazie alle lacrime versate dalla ragazza, la pianta crebbe rigogliosa.
Tuttavia, la sua bellezza e il suo profumo, destarono le invidie dei vicini che cominciarono a farsi commissionare vasi con le stesse fattezze di quello della giovane.